Il ruolo dell’oss nelle rsa: Responsabilità e centralità della figura degli oss nell’assistenza agli anziani

Sembra rivolto agli operatori socio-sanitari ma è uno scrigno di riflessioni fondamentali, radici per tutti coloro che curano, nello specifico che prendono in carico l’anziano fragile, la sua famiglia, chi assiste.

La copertina mette in risalto l’oss in quanto perno, fulcro del lavoro di cura in struttura, incarnazione delle parole attenzione, generosità, gentilezza, forza che aprono questo cofanetto prezioso.

Scrivere queste parole, queste riflessioni a partire dal volumetto del Professore Marco Trabucchi è un desiderio che nutro da tempo e che ho lasciato in sospeso perché in poche pagine è racchiuso il nucleo di un lavoro quotidiano che porta con sé elementi di vita immensi. Scrivere queste righe è un atto di responsabilità davanti al quale sento di dovermi approcciare con cautela perché tengo fra le mani la sintesi di un impegno profuso per anni dal Professore con sguardo attento, professionalità e umanità.

Questo volume è una carezza, uno specchio per chi ogni giorno varca la soglia di una residenza per anziani e crede profondamente nel valore di questi luoghi che divengono poli di vita, spazi in cui si può sperimentare il benessere come realizzazione della propria storia anche quando le fragilità si prendono il ruolo da protagonista.

Con la competenza di chi le nozioni le possiede e le incarna, il pensiero lo tiene sulla pelle e nel cuore, il Professore riesce a rendere la complessità in espressioni coincise e di grande profondità ancorata alla realtà. Ho partecipato personalmente a molti eventi di formazione del professore e abbiamo avuto il privilegio di sentire i suoi principi muoversi all’interno della Fondazione Madonna della Bomba dove si è seduto accanto ad ogni operatori e ne ha valorizzato caratteristiche individuali.

Il professore Marco Trabucchi, la Dott.ssa Giovanna Ferrandes, il Dott. Luigi Ferrannini hanno percorso i corridoi del mio e nostro luogo di lavoro e la casa di molti anziani mescolandosi con l’atmosfera del posto senza richiesta di tappeti rossi con l’umiltà dei grandi.

Mi sono addentrata nelle pagine di questo volume e nel provare a rendere l’esperienza di lettura immersiva mi è sembrato opportuno seguire quattro linee: la cura all’interno delle residenze per anziani verso le persone con cui entriamo in relazione, l’equipe composta da professionisti che curano e la formazione.

I nuclei trattati dall’autore sono i percorsi paralleli in cui ci muoviamo quotidianamente, cercando di tenerli insieme, di fare muovere all’unisono in armonia. Questi nuclei si influenzano reciprocamente e in base al cambio rotta di uno o dell’altro sentiero (dovuto spesso a eventi che accadono) si orientano le vele.

Questo il Professore lo sa bene e infatti il libro non vuole essere una descrizione utopica di quel che potrebbe essere il lavoro in struttura ma respira e sa di reale.

CURA


“Forte è chi tratta la fragilità con gentilezza. La gentilezza, infatti, non è una caratteristica dei deboli, che devono principalmente occuparsi di difendere loro stessi, e quindi sono dominati da comportamenti autocentrici, ma di chi percepisce l’importanza del proprio ruolo”

Nelle pagine viene più volte evidenziato il valore della gentilezza e la meta, l’obiettivo del lavoro di cura che è quello di garantire benessere limitando, per quanto possibile, la sofferenza della psiche e il dolore del soma, così da promuovere una “buona vita” nonostante le fragilità, in cui viene dato risalto alla biografia, alle parti autentiche di sé, alle relazioni.

La cura deve quindi adattarsi alla persona, alle sue unicità ponendosi sempre all’interno di una sana relazione e tenendo insieme le relazioni che rendono la vita tale. Siamo esseri relazionali e questo non sfugge mai a chi scrive, medico di professione ma con la sensibilità che a volte adesso manca ai giovani medici, quella sensibilità in grado di cogliere l’umanità oltre le diagnosi.

Nella progettualità di cura, a differenza di altri contesti, è fondamentale focalizzarsi sul “qui e ora” e dare rilievo ad atti singoli seppur modesti.

“La cultura, l’esperienza, la preparazione producono sempre risultati importanti anche quando possono sembrare modesti costruiscono una condizione di salute sempre diversa rispetto a quella di una persona che non fosse stata adeguatamente assistita”

La cura deve ispirarsi a criteri fondamentali che vengono raggruppati con accurata sintesi utile a fare da bussola.


“Il criterio della complessità: la cura degli anziani fragili non può essere puntiforme, ma deve essere costruita rispettando le sue esigenze che sono somatiche, psicologiche, ambientali. L’operatore deve essere edotto sull’esigenza di una visione integrata della vita, per cui ogni atto di cura ha sempre riflessi multipli e gli oggetti non sono mai separati dai contesti. Si devono rifiutare le false dicotomie come naturale e umano, mente e ambiente, emozioni e razionalità, cultura e tecnologia, creatività e rigore logico, conoscenze e competenze. […]Il benessere da costruire è sempre il risultato di condizioni diverse e interagenti”


“Il criterio dell’ottimismo rispetto al proprio impegno. La cura non è mai gestione di un fallimento ma una modalità per rendere migliore la vita”


“Il rispetto della dignità e della libertà indipendentemente dalle condizione di salute”


“La persona ha bisogno di stabilità affettiva e pratica, di una buona sintonia con chi entra nella relazione”


“La cura dei familiari che non devono sentirsi trascurati o poco valorizzati”


“L’attenzione va rivolta alla cura degli ambienti, devono favorire la serenità di chi lavora e di chi vi abita”


“La tenerezza deve accompagnare la cura”


“La pazienza, il saper aspettare, è la virtù che induce ad accompagnare con costanza e senza fretta chi soffre. La cura è prima di tutto ascolto paziente. La relazione si costruisce lentamente, attraverso tempi che richiedono spazio nella mente e nel cuore”


“La cura è attenta ai particolari, alle piccole nobilissime cose”


“Essere coscienti che il lavoro di cura ha un significato, impegnarsi è un segnale di speranza e garanzia che non abbandona”


“La gentilezza e la sua espressione dell’affidabilità permettono una buona relazione perché soprattutto chi presenta una compromissione delle funzioni cognitive, è sensibilissimo alle modalità con le quali viene avvicinato, toccato, sostenuto”

Le residenze per anziani fragili

Nell’immaginario collettivo l’idea di una struttura per anziani rimanda a un senso di immobilità, una sorta di anticamera della morte mentre il familiare vive il vissuto della colpa di “abbandono”.

Per esperienza, posso affermare che le molte strutture diventano centri di vita sociale in cui è possibile essere, esserci senza sperimentare la frustrazione dei limiti di alcune patologie. Un “mondo vitale” a misura delle nuove esigenze della fase di vita.


“La persona accetta le regole di una vita insieme ad altri se sente di trarne un vero, concreto vantaggio”


“Le residenze non sono isole ma realtà che dovrebbero essere inserite profondamente nel territorio di riferimento […] in grado di garantire il futuro alle persone anziane affette da molte malattie, con gravi limiti all’autonomia, spesso con compromissione delle funzioni cognitive”


“Le strutture, quindi, devono poter “offrire la giusta risposta e non quella più facile, un’attenzione vera che non si ispira alla logica del ripostiglio”

Il riconoscimento, la valorizzazione di sé, il senso di sicurezza, la sperimentazione di buone relazioni permette alla persona di poter vivere in modi nuovi un equilibrio senza tralasciare chi è e così ho avuto modo di assistere alla bellezza della semplicità, della vita. Sono stata spettatrice e sono stata invasa dalla potenza della ex pittrice che ripone tra le dita i pennelli accantonati da anni con rabbia, alla signora che non ricorda più il suo nome ma si siede al pianoforte e inizia a pigiare i tasti ricreando il primo brano appreso alle lezioni di pianoforte, alla famiglia che con stupore stringe a sé la mamma che sorride e mostra il vaso in camera con la primula sbocciata seminata con le sue mani solcate dalle linee del tempo.

Nel libro vengono percorse le tappe fondamentali della vita in struttura: l’accoglienza, la strutturazione del progetto di cura, la misura dei risultati, la cura del familiare.

Le strutture diventano, inoltre, i luoghi dove le cure di fine vita possono essere “assicurate con delicatezza e competenza” in vicinanza dei propri cari.

Equipe e professionisti di cura

Tante le figure che ruotano intorno all’anziano fragile e al suo nucleo familiare, tante le personalità, le professionalità che si mescolano e danno vita a un unico movimento quello della cura multidisciplinare portata avanti dall’equipe.


“Le cure sono più efficaci solo se prestate da un gruppo di persone tra loro interagenti e collaboranti”

I punti di vista differenti ma fondati sugli stessi principi, gli sguardi allenati a cogliere aspetti diversi riescono, se ben amalgamati, a dare riscontro effettivo di quella complessità di cui siamo portatori.

Far interagire ruoli e caratteristiche diverse non vuol dire trovarsi sempre in una situazione idilliaca infatti è necessaria la presenza di qualcuno capace di fare da garante e mediatore del pensiero di gruppo ma in linea generale i benefici superano la fatica del cooperare, intrecciare competenze.


“Il lavoro di equipe rappresenta un modo privilegiato per raggiungere un equilibrio nel proprio lavoro, evitando la solitudine, che è sempre un nemico della serenità dell’operatore e quindi del suo equilibrio nel lavoro, evitando le incertezze sulle opzioni lavorative più adeguate, e anche un eccessivo carico se ci si trova da soli a gestire i bisogni di una persona fragile”

E’ necessario aver cura di chi cura e delle relazioni fra i curanti. Inoltre, l’autore sa bene e non porta avanti l’illusione di poter scindere vissuti personali e contesto lavorativo.


“La condizione di salute somatica e psicologica degli oss è alla base della possibilità di lavorare bene e con buona serenità. Non voglio negare che vi siano persone di altissimo livello morale, in grado di prescindere dalle loro condizione soggettive e oggettive nell’attuare un servizio. Però, nella normalità, se una persona soffre per problemi di benessere fisico o ha problemi psicologici anche la prestazione lavorativa ne soffre”

Formazione

Un capitolo intero viene riservato alla formazione. Ne condivido pienamente la scelta in quanto la formazione crea valori condivisi, sicurezza nelle proprie azioni, valorizzazione del proprio ruolo. La formazione è incontro, irrobustisce quel che siamo, facciamo.

La formazione cambia le domande, conferma le scelte, ci rende consapevoli delle motivazioni.


“La formazione deve prima di tutto allenare a pensare. L’insegnamento non può limitarsi a indicare soluzioni tecniche ma deve aiutare l’operatore a sviluppare le capacità critiche, in modo da costruire un proprio percorso umano al cui interno si colloca quello professionale”

La formazione specifica dovrebbe avvenire all’interno delle strutture ma anche nei corsi di studio prima dell’inserimento lavorativo in contesti geriatrici.


“Lo studente deve poter cogliere le dinamiche della complessità che caratterizzano le informazioni che stanno intorno ad ogni individuo. In questa prospettiva alla formazione mancano due concetti fondamentali: quello della vita che si presenta come un fenotipo instabile, che deve essere compreso nelle sue singolarità sempre diverse, e la conseguente nozione di tempo, senza la quale non si capisce da dove viene la malattia. E’ indispensabile affrontare il tema della relazione e fornire un imprinting cultural per il quale all’osservazione dell’anziano devono seguire risposte plurime, Elaborate, non generiche”

La formazione acquista senso se viene supportata dalla direzione e se la direzione crede nelle capacità comunicative e nella ricchezza dei contenuti trasmessi dal formatore.


“Le direzioni devono sostenere e valorizzare la qualità umana e professionale dei dipendenti, di qualsiasi livello e origine. Se non credono in una logica di coinvolgimento, subiranno le conseguenze della disaffezione, delle crisi”



Molte altre considerazioni meriterebbero di essere messe in luce e chiedo scusa al Professore se per esporre la profondità e l’utilità di questo testo ho citato molto e commentato poco ma con grande maestria ogni parola è stata da lui stesso scelta con cura e messa su carta per divenire di tutti coloro che ogni giorno sono presenti per una carezza, uno sguardo che cura, per essere riflesso di tecnica e daimon, quell’istinto che li ha spinti a fare della propria storia, indole, una professione.

Ogni persona che cura è un guaritore ferito che, come Chirone, ha fatto della sua ferita una feritoia e che ha reso la propria fragilità via per raggiungere e stare accanto all’altro. Ogni persona che cura è dentro questo libro con sincera stima dell’autore.

Posso affermarlo grazie all’onore e al privilegio di averlo visto dialogare in più occasioni con i nostri operatori di cui mi occupo in quanto psicologa di struttura e ai quali ho riservato uno spazio speciale nei pensieri.

Ognuno di loro alloggia nel mio cuore con il suo volto e il suo bagaglio di vita che rende il proprio approccio unico e irripetibile.

Ogni giorno lavoro per ognuno di loro e ognuno di loro ringrazio per quello che sono in grado di donarmi, sono la professionista e la donna che sono grazie anche a un pezzo di ogni loro storia, per ognuno dei loro sguardi.

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