Un tema, una forte storia

“Quando hai provato paura per la prima volta? Prova a raccontare in due pagine cosa è successo e cosa o chi ti ha aiutato a superarla” E se a scriverlo fosse una bambina di oggi domani?

Non ricordo molto dei fatti, ricordo bene però tutte le sensazioni. Ricordo con precisione il momento in cui vidi mia mamma coprirsi il viso. Non aveva mai indossato quello strano abito azzurro, lungo, che non mi permetteva di vedere i suoi grandi occhi resi ancora più definiti dal kajal e i suoi capelli che tanto amavo, morbidi come la seta, scuri come la pece. Ricordo i giorni prima di vederla così conciata, ricordo che non era la solita mamma dolce, affettuosa e solare. Trascorreva molto tempo a lavoro e io restavo con la nonna in casa, la nonna mi ripeteva sempre che presto sarei andata a scuola. In quei giorni no, era sempre in casa assorta o immersa in lunghissime telefonate. Provavo a chiederle di giocare, mi sorrideva e mi diceva dopo amore, non accadeva.

Poi quel pomeriggio che trasformò ogni cosa, capii che non era più la vita di prima, non eravamo più al sicuro. Non uscivamo a fare le passeggiate che facevamo prima, stavamo sempre in casa. Da qualche giorno era così, ero troppo piccola, accettavo le vaghe risposte che mi venivano date. Facevo spallucce e continuavo a colorare seduta in terra. Bussarono. Bussarono violentemente. La nonna guardò terrorizzata la mamma. Stavo per dire “Perché non rispondete?” ma la mamma mi mise subito una mano davanti la bocca, mi prese in braccio e andammo nella direzione indicata con le braccia dalla nonna. Era un vecchio capanno, il nonno teneva gli attrezzi ma era ormai in disuso ed era totalmente a pezzi. Ci nascondemmo lì e la mamma mi disse di stare in silenzio. Mi pregò di farlo.

Buttarono giù la porta. Si sentiva la nonna urlare “Lasciate stare, lasciate stare, qui non c’è nessuno”. Forse lì capii davvero cosa significasse avere paura, paura davvero, paura di morire, paura di perdere la nonna, paura di tutto. “Ma..” stavo per chiedere “mamma cosa succede” e di nuovo la mamma mi mise una mano davanti la bocca. Ad un tratto silenzio. Restammo lì molto tempo prima di risalire in casa e trovare la nonna piena di sangue alla tempia ma per fortuna viva. “Nonna” volevo abbracciarla forte ma la mamma mi disse ancora di fare silenzio, medicò la nonna con qualche unguento che avevamo negli stipetti del bagno. Nessuno mi spiegò chi cercavano quegli uomini violenti che attaccarono la nonna. Tutto fu chiaro in seguito.

Cercavano la mamma, non proprio lei sia chiaro ma qualsiasi donna dai 12 ai 45 anni da poter dare in dono ai talebani. In dono sì, in dono come la collana che ho acquistato per il compleanno della mia compagna di classe. In dono? Che schifo di modo è per osannare una vittoria? Vorrei pronunciare mille parole brutte ma ho ancora 11 anni e la mamma mi ha detto che non devo dirle.

Ricordo bene anche la notte in cui andammo via, io nascosta sotto le merci di un camion e la mamma vestita da uomo. La nonna rimase lì, non capii mai il perché ma so che sento ancora piangere la mamma. Le manca così tanto e non riesce a perdonarsi di non aver insistito ancora per farla partire con noi. Non poteva accettare che non avessi diritto a questo, a tutto quello che di normale avviene qui, andare a scuola, avere degli amici, andare al parco giochi e scegliere un abito giallo o un pantalone con le margherite come quello che indosso spesso. Non poteva accettarlo ripeteva e ripete tuttora.

Capisco adesso che Mamma Jamila ha fatto tanto per me e zia Clara, che non è mia zia ma la signora che abita di fronte casa nostra e che è la nostra famiglia qui, mi ripete sempre “Tua mamma è una grandissima donna, quello che ha fatto è straordinario”. Io lo capisco ma ancora qualcosa mi sfugge.

La maestra Anna una volta ci ha fatto vedere un documentario sull’emancipazione femminile e si sono fermati a lungo sulla mia terra d’origine. Ci ha spiegato che è uno dei pochi paesi dove, nonostante si stessero facendo passi avanti, la situazione era sprofondata e peggiorata di colpo. Mi sono rimasti impresse le immagini di donne impaurite, di uomini che annerivano le pubblicità di modelle in abito da sposa perché indecorose, perché proibito. Io qui mi ero abituata a vedere quei cartelloni e mi sembravano principesse meravigliose. Tornata a casa, corsi subito da mamma e le raccontai tutto, chiesi spiegazioni e ricordo che con le lacrime agli occhi mi disse che avevo l’età giusta per sapere qualcosa in più.

“Vedi Gemma, non è facile tornare indietro, dirti quante libertà avevamo conquistato e quante in un tratto abbiamo visto sparire. Libertà, ti parlo di libertà ma piuttosto bisognerebbe parlare di normalità, una normalità che tale non era, impossibile pensarla tale. Quando rimasi incinta avevo ventidue anni circa e nella mia vita a Kabul avevo sentito racconti di violenze e di soprusi da parte dei talebani ma avevo trascorso la maggior parte della mia esistenza in un periodo di pace, forse fittizia, e di tutto quello che era accaduto alla nonna e stava riaccadendo a noi non avevo traccia in memoria. Avevo studiato, mi ero laureata e portavo i miei lunghi capelli raccolti in una treccia. Li amavo molto. La nonna era molto orgogliosa e felice di vedermi sfoggiare orecchini e trucco senza timore, senza vecchi presagi addosso. Lei no, si vedeva che era sempre un po’ sospettosa, che si trascinava delle paure. Aveva provato a raccontarmele ma mai riuscii a capirle finchè non arrivò quel pomeriggio che tu ben ricordi. I talebani avevano assediato Kabul e, senza distaccarsi mai dalle loro armi, avevano setacciato la città in cerca di donne per fargli del male, per rapirle, per costringerle ad abbandonare i loro ruoli di donne lavoratrici. Avevano imposto una legge rigida e maledetta che ci rendeva succube di un uomo, vittime di un sistema di matrimoni falsi e senza amore, schiave di noi stesse, prigioniere. Amore, sono scappata nella notte, fiduciosa della vita. Devo a una volontaria la nostra possibilità di salvezza, lei poteva accedere al volo per ritornare in patria, in Italia. Ci incontrò nei pressi dell’aeroporto, ai bordi di una strada dissestata, sul mezzo di fortuna con cui ci eravamo messe in marcia, eravamo sudice e disidratate. Parlai con lei, cercai di farle comprendere la mia disperazione. Disse al pilota che non sarebbe salita senza di noi, che se ognuno riusciva a salvare una donna, sarebbe stata la vittoria vera. Partimmo e da lì ritornai a respirare. Avevo protetto mia figlia. Spero che mai tu possa capire il timore di morire per mano di un paese, di questioni che accadono. Purtroppo la nonna lo sapeva bene e lei aveva protetto me e te, noi”

La mamma ci mise molti anni prima di concedere uno spazio della sua vita a Luca. Io ho sempre fiutato con l’immediatezza dei bambini che in quell’uomo c’era tanta gentilezza ma la mamma non era pronta. Gli uomini le avevano fatto molto male, molto. Aveva lavorato, lavorato, lavorato. Appena arrivata in Italia puliva gli appartamenti di alcune signore del quartiere, aveva deciso di inventare un curriculum di tutto punto. Col tempo iniziò a tentare di promuovere la sua carriera da giornalista. D’altronde prima di quel brutto giorno in cui arrivarono i talebani a casa, la vita a Kabul era diversa e lei aveva studiato all’università, era stata all’ estero a fare degli stage. Era brava, lo è ancora molto. Ha avuto il coraggio di scrivere la storia vista e vissuta in pagine di un famoso libro che non porta il suo nome, ha preferito uno pseudonimo ma l’ha aiutata a liberarsi di un macigno sul cuore ed ha aiutato tutti a comprendere quello che vivevano le donne, che aveva vissuto la nonna.

Ah la nonna, preghiamo per lei ogni giorno, ogni mattina ed ogni sera e portiamo una collana io e mamma che era sua e che abbiamo fatto scindere in due ciondolini. La nonna è nella libertà che oggi è nostra, la nonna è stata la nostra via verso l’aria che respiriamo.

Dedico a te questo tema nonna mia, come la mamma dedica a te tutte le lacrime ogni volta che ti pensa, ti cerca, ti ringrazia. Sapevi quanto avremmo sofferto se fossimo rimaste in quella amara terra.

Immagine da pixabay

Un pensiero riguardo “Un tema, una forte storia

  1. Racconto intenso,corposo.
    Ti avvolge totalmente il modo in cui si intrecciano le storie di tre donne a cui solo l amore, il coraggio e la voglia di libertà forniscono le armi per una guerra contro il male ” che fa ritorno”

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