Antonio, come ogni giorno, stava lucidando i bicchieri, lo straccio si muoveva sul vetro e lo sguardo si perdeva sulla parete.
Il suono delle campanelle poste sulla porta si spargeva nella sala appena qualcuno si apprestava ad entrare.
Ed ecco che ancora risuonavano.
“Salve Dottore” pronunciò Antonio con voce pacata.
Il Dottore si tolse il cappello scuro e, chinandosi, lo appoggiò sulla panca in legno. Si avvicinò al bancone, sorrise al proprietario e andò a sedersi a quel tavolo poco distante.
Sfogliava il suo giornale, assorto. Si soffermava su qualche notizia di attualità e bastava osservare fugacemente la sua espressione per tradurla in palese dialogo.
“Negazionisti” sbuffava, rivolgendosi ad Antonio.
Sottovoce, aggiungeva “La paura, l’incapacità di leggerla e gestirla guarda tu cosa può diventare”.
“Nessun finanziamento per la salute psicologica” continuava e aggiungeva sempre tra sé e sé “Ancora dopo tutti questi anni dalla mia morte”.
Stava per passare all’articolo successivo quando si udì nuovamente quel tintinnio di campanelle.
“Buongiorno Antonio e Buongiorno Dottore” la voce fioca e roca fece soave eco e Andrea con la sua sigaretta tra le labbra si accomodò sulla poltrona in pelle. La sua bianca camicia a quadri stonava leggermente con la coppola di velluto grigia eppure era lo stile che pienamente lo rappresentava.
Sfilò il laccio della mascherina. Si accese la sigaretta, soffiò via il primo tiro, desiderato, aspirato, agognato.
In quel luogo, le differenze linguistiche svanivano, una sola lingua permetteva di far dialogare tutti.
Il maestro Camilleri ironizzava un po’ su tutto e Sigmund sorrideva stimando quella grande sfumatura dell’intelligenza.
Una voce dal fondo della sala esordì dirompente “Anni di ricerca e siamo ancora qui a dover spiegare gli elementi essenziali della scienza, le vecchie conquiste, il progresso”.Il suo chignon di capelli d’argento e quel lungo abito nero rendevamo ancor più elegante la sua figura.
“Miei cari non sapete quanto mi lascia arrabbiata e inerme questa faccenda”, grugniva.
“Eppure mi rendono orgogliosa i giovani, quelli a cui avevo rivolto i miei più sinceri consigli. Ma ci pensate alla giovane ecologista? O a tutti i giovani professionisti della salute? Medici, infermieri, psicologi che tacciono ma si muovono e reggono, reggono, tengono saldi e ancorati alla terra gli uomini e le donne senza respiro, senza quiete nell’animo”.
“Rita, oh Rita, tu hai ragione ma sono appesantiti dal timore, dall’incertezza, hanno perso l’incanto della sana leggerezza. Vero Calvì?” Camilleri si rivolse all’uomo in fondo alla sala.
Smilzo, smagrito, eccolo lì Italo Calvino che dava un furtivo sguardo alla libreria.
“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” riaffermò e ripeté la sua celebre affermazione.
Seduti distanti, uno di fronte all’altro, si parlavano, Antonio sorrideva, assisteva muto, rifletteva, preparava il caffè ristretto per il maestro Camilleri, il secondo caffè ma d’altronde lì non faceva più male.
Antonio quel lavoro, in vita, lo aveva sempre svolto per passione, perché amava ascoltare le storie e le idee dei clienti, clienti abituali, clienti di passaggio, clienti riservati che narravano con gli occhi, clienti loquaci.
Antonio quel lavoro, adesso, lo svolgeva con la stessa passione, inebriato dalle storie andate di quelle statue vere, maestose. Lì poteva sentirne le idee, udirne i ricordi.
Al bar quel pomeriggio c’erano solamente loro seduti lì. In altre giornate, invece, era più affollato, gremito.
Al bar quel pomeriggio come ogni pomeriggio si ritrovavano gli illustri maestri a dialogare, a rimanere in silenzio a leggere, a sorseggiare un caffè ristretto.